L’INSEGNAMENTO CAPOVOLTO, IL CODING e LA DIDATTICA LABORATORIALE

Inventarsi ogni giorno qualcosa di accattivante, non permettere che nessuno si annoi, interessare sempre gli alunni, rendere viva la lezione, “fare” laboratorio e soprattutto utilizzare tutto questo per rendere la didattica inclusiva. Questo vuol dire per me insegnare ottenendo risultati dai miei ragazzi.
Insegno tecnologia nella scuola secondaria di primo grado da diversi anni ed ho impostato sempre la mia didattica sul “fare”.
Però che difficoltà quando, pur insegnando tecnologia e informatica, non hai il laboratorio a scuola!
Ecco allora che l’idea della scuola dell’approccio esperenziale da me sempre e naturalmente perseguita, si è sposata con la didattica capovolta della flipped classroom.
La metodologia è rivoluzionaria poiché capovolge i presupposti tradizionali del paradigma insegnamento-apprendimento. Il docente non spiega la lezione agli studenti, ma fornisce indicazioni o meglio istruzioni attraverso un video o altri supporti multimediali presenti su un repository in rete. Gli studenti studiano la lezione a casa in modo individuale e, nella fase successiva, svolta in classe, in presenza del docente si chiariscono i dubbi, si approfondiscono gli argomenti, si trova (finalmente!) il tempo di individualizzare e personalizzare l’insegnamento, si realizzano attività fondate sul cooperative learning migliorando anche le dinamiche sociali del gruppo classe.

Coding è un termine inglese al quale corrisponde in italiano la parola programmazione. Parliamo di programmazione informatica ovviamente ma non nel senso più tradizionale dell’espressione. Il coding a scuola è una scoperta – se così possiamo definirla – recente. Parliamo di un approccio che mette la programmazione al centro di un percorso dove l’apprendimento, già a partire dai primi anni di vita, percorre strade nuove ed è al centro di un progetto più ampio che abbatte le barriere dell’informatica e stimola un approccio votato alla risoluzione dei problemi. Parliamo di pensiero computazionale, ovvero di un approccio inedito ai problemi e alla loro soluzione. Con il coding bambini e ragazzi sviluppano il pensiero computazionale e l’attitudine a risolvere problemi più o meno complessi. Non imparano solo a programmare ma programmano per apprendere.

Il laboratorio è soprattutto una scelta metodologica, che coinvolge attivamente insegnanti e studenti in percorsi di ricerca, attraverso l’uso critico delle fonti. La didattica laboratoriale si basa sullo scambio intersoggettivo tra studenti e docenti in una modalità paritaria di lavoro e di cooperazione, coniugando le competenze dei docenti con quelli in formazione degli studenti. E la ricerca condotta con questo metodo è un percorso didattico, che non soltanto trasmette conoscenza, ma, molto spesso, apre nuove piste di conoscenza e produce nuove fonti documentarie. Il percorso laboratoriale non ha come fine quello di produrre una ricerca con esiti scientifici inoppugnabili, ma quello di far acquisire agli studenti conoscenze, metodologie, competenze ed abilità didatticamente misurabili. E’ praticabile solo nella scuola, ma fa uscire dalla ristrettezza e della ripetitività dell’insegnamento e dell’apprendimento tradizionali. In tale contesto la figura dell’insegnante assume una notevole valorizzazione: dal docente trasmettitore di conoscenze consolidate all’insegnante ricercatore, che progetta l’attività di ricerca in funzione del processo educativo e formativo dei suoi allievi. Questa figura di insegnante ricercatore, delineata dall’impegno e dalla creatività di molti docenti che praticano la sperimentazione, non è assimilabile a quella di insegnanti che fanno ricerca disciplinare in collaborazione con l’università o altri enti. Questi insegnanti innovatori ritengono indispensabile perseguire la propria preparazione professionale e disciplinare alimentando la curiosità intellettuale e l’accrescimento delle proprie competenze, attraverso progetti di ricerca che abbiano una ricaduta nell’ambito del lavoro scolastico. Scoprono, cioè, una nuova dimensione del proprio lavoro e sarebbe auspicabile a questo punto che il nuovo profilo dell’insegnante ricercatore ottenesse un riconoscimento ufficiale nell’ambito dell’istituzione scolastica. Il laboratorio può dunque essere definito anche come luogo mentale, cioè una pratica del “fare storia”, che valorizza la centralità dell’apprendimento e mette in stretta relazione l’attività sperimentale degli allievi con le competenze storiche degli insegnanti.